Per quanto ci crediamo assolti siamo per sempre coinvolti

Abstract

Rafforzando il concetto già ribadito a più riprese in questa rubrica, la frode assicurativa è spessissimo un crimine funzionale a garantire la base economica delle organizzazioni criminali e prodromica a reati ben più gravi, vorrei proporre qui un caso realmente trattato. Nel corso delle indagini è emerso che dietro la frode assicurativa si nascondeva un infortunio avvenuto durante un lavoro in nero.

Indice:

1. La frode assicurativa ed il lavoro in nero

2. Vari prodotti per diverse esigenze fraudolente

3. Case history

4. Conclusioni

1. La frode assicurativa ed il lavoro in nero

È passato da poco il primo maggio e mai come quest’anno si è rivelato importante parlare di Lavoro, data l’incertezza nella quale versano e verseranno milioni di lavoratori. Purtroppo, è proprio in questi frangenti che le organizzazioni criminali hanno terreno fertile per proliferare, grazie anche allo sfruttamento della manodopera irregolare. Un fenomeno che molto spesso ci troviamo ad ignorare in quanto riteniamo non  ci coinvolga direttamente, ma che in verità dovrebbe farci riflettere molto sulle nostre abitudini di vita e di consumo.

Senza addentrarci nell’approfondire l’ovvio, l’assenza di un regolare contratto di lavoro subordinato nega al lavoratore molteplici garanzie, tra cui l’assenza di una copertura in caso di infortuni sul lavoro. È chiaro pertanto che, è necessario studiare una strategia alternativa per garantire al lavoratore un “congruo” risarcimento per le eventuali lesioni procurate durante lo svolgimento delle sue mansioni.

È chiaro che laddove il lavoratore intendesse denunciare il suo datore di lavoro, avrebbe diritto a vedere soddisfatte le proprie ragioni, ma purtroppo sappiamo che la realtà non sempre è così lineare. Subentrano in gioco tutta una serie di fattori che portano il lavoratore a desistere dal denunciare il suo titolare: il timore per la perdita del posto, il rapporto di amicizia, il timore di esser bollato come “inaffidabile” e non trovare un altro lavoro nello stesso settore o, nel peggiore dei casi, il timore legato allo status di clandestino.

Inoltre, le vittime del lavoro nero sono molto spesso operai, potenzialmente dalla bassa scolarizzazione e certamente non sindacalizzati. Si trovano perciò a svolgere mansioni più pericolose e dal momento che le irregolarità non vengono mai da sole, è frequente che anche le misure di sicurezza sul lavoro non siano sempre in linea con la normativa.

Come ovviare perciò ad un eventuale infortunio, evitando al lavoratore di denunciare il suo datore di lavoro? È molto frequente, come si può immaginare, il ricorso alla frode assicurativa. La dinamica è abbastanza semplice da spiegare, ed altrettanto da attuare. Si simula che le lesioni siano ascrivibili ad un altro evento accaduto in circostanze differenti da quelle reali e per il quale è possibile aprire un sinistro. I prodotti assicurativi ai quali si può ricorrere sono essenzialmente, la polizza infortunila copertura RCT, Responsabilità Civile Terzi, e chiaramente la copertura RCA, Responsabilità Civile Auto. Ogni prodotto ha differenti peculiarità e presenta le sue criticità in termini di applicazione al caso concreto.

2. Vari prodotti per diverse esigenze fraudolente

Per aprire un sinistro su polizza infortuni, viene da sé che l’infortunato doveva avere una copertura assicurativa già in epoca precedente alla lesione. La stessa ha un costo relativamente elevato e raramente un lavoratore irregolare ha le disponibilità per contrarre una polizza di questo tipo, ma soprattutto, all’atto dell’apertura del sinistro, lo status di disoccupato, desterebbe non pochi sospetti e attiverebbe con più facilità gli accertamenti da parte dell’assicuratore. Inoltre, questa modalità fraudolenta è pressoché inapplicabile per ciò che concerne lo sfruttamento dell’immigrazione irregolare, proprio per via dello status di clandestinità nel quale versano i lavoratori, i quali avrebbero difficoltà a contrarre un’obbligazione di natura civilistica. Le polizze infortuni prevedono delle esclusioni, ovvero garantiscono contro ogni genere di evento avverso, salvo quelli espressamente previsti nel contratto come cause di esclusione. Perciò, all’atto della denuncia è importante aver cura di descrivere un evento non rientrante tra le esclusioni di polizza.

La frode su polizza RCT è quella più in voga per ciò che concerne i sinistri in ambiente domestico come quelli riguardanti colf, badanti e giardinieri, ma anche operai come l’idraulico, l’elettricista, l’imbianchino etc. In questi casi la simulazione spesso non verte tanto sulle circostanze dell’accaduto, bensì sul rapporto intercorrente tra l’assicurato e l’infortunato. In parole povere, un collaboratore domestico dichiarerà di essersi trovato presso famiglia assicurata per una visita di cortesia e di essersi procurato una lesione in quella circostanza. Contrariamente alle polizze infortuni, pressoché omnicomprensive, le polizze RCT, come si evince dalla loro denominazione, richiedono come requisito necessario la responsabilità dell’assicurato nella determinazione della lesione. Perciò all’atto dell’apertura del sinistro sarà bene evidenziare la cosiddetta insidia o trabocchetto che avrebbe determinato la lesione. Per intenderci, una macchia d’olio, il pavimento bagnato e non segnalato, o la più classica buccia di banana. In assenza di questo requisito, mancherebbero i presupposti per la liquidazione del danno.

In tutti gli altri casi, la polizza RCAuto soddisfa le esigenze fraudolente più variegate in quanto, è facile ascrivere le lesioni ad un investimento pedonale. Inoltre, lo status di immigrato irregolare non fa venire meno il diritto al risarcimento da sinistro stradale.

3. Case history

Quello che vado a presentare è uno dei primi casi che lavorai agli inizi della mia esperienza. Lo sviluppo delle indagini seguite ha fatto emergere alcuni elementi estremamente emblematici di un malcostume diffuso su tutto il territorio nazionale. Nomi e luoghi riportati, saranno di fantasia. Il sinistro è stato aperto con la polizza RCAuto di mezzo intestato ad una azienda di servizi. L’azienda era nota nel territorio in quanto eseguiva interventi d’urgenza come la manutenzione stradale e della zona boschiva di competenza dell’ente provinciale. La chiameremo la Disaster S.a.s. Il titolare della ditta è Giuseppe

Un giorno, un certo Pasquale, residente in un comune limitrofo, denunciava che un Pick Up di proprietà della Disaster S.a.s., condotto proprio da Giuseppe, durante una manovra in retromarcia nei presi del piazzale dell’azienda avrebbe urtato una barriera New Jersey in cemento la quale, ribaltandosi, sarebbe caduta sul piede destro di Pasquale, cagionandogli gravissime lesioni. Il fatto accadeva intorno alle 11.30 del mattino.

Com’è noto i New Jersey vengono posti ai margini delle strade per delimitare dei cantieri e possono essere a forma di L e a forma di T rovesciata. Il suo profilo è volto a minimizzare il danno ai veicoli in caso di contatto accidentale, riportando il veicolo in carreggiata e prevenendo i salti alla corsia opposta.

I danni al paraurti del Pick Up, stando alle foto in perizia, erano estremamente lievi. Un bozzo concavo nella parte posteriore destra. I primi dubbi derivavano dunque già dalla incompatibilità tra i danni al mezzo e la dinamica dichiarata. Difatti era estremamente singolare come un Pick Up potesse ribaltare un New Jersey in cemento senza che questo nel rovesciamento non asportasse totalmente il paraurti.

L’attività investigativa è stata articolata, ma ne semplificherò i passaggi più salienti. Prima di prender contatto con le persone coinvolte, ho effettuato le opportune ricerche sui soggetti, dalle quali è emerso semplicemente che il titolare della Disaster S.a.s. e il lesionato si conoscessero. Circostanza, peraltro mai celata da nessuno dei due. È bene anticipare che le ricerche eseguite prima del contatto con i soggetti sopra menzionati, sono state estremamente sommarie e superficiali.

Ho incontrato prima il titolare, Giuseppe, che raccontava nel dettaglio la dinamica. Pasquale quella mattina si era avvicinato al perimetro esterno del piazzale dell’azienda delimitato appunto dai New Jersey per salutare alcuni conoscenti, dipendenti dell’azienda. In quel momento Giuseppe, in procinto di uscire in auto per dei servizi, avrebbe urtato il New Jersey in retromarcia con le conseguenze che già sappiamo. Purtroppo, non c’è stato modo di vedere personalmente il Pick Up, venduto poche settimane prima ancora danneggiato e ancor meno di visionare il New Jersey, ormai rimosso dal luogo del sinistro. Tra i dettagli circostanziali Giuseppe riferiva appunto che il New Jersey fosse a forma di L.

Ho poi incontrato il lesionato Pasquale, presso la sua abitazione e in presenza della moglie raccontava una dinamica analoga a quella sopra riportata, salvo per il fatto che il New Jersey fosse a forma di T rovesciata.

La conversazione è durata oltre un’ora e, nonostante fosse passato molto tempo dall’incidente, Pasquale era ancora totalmente invalido e sofferente. Prima di salutarci, gli chiedevo se all’epoca del sinistro lavorasse e dunque se stesse percependo la malattia. La domanda è stata posta per curiosità, forse per empatia, ma non aveva alcuna velleità investigativa. Pasquale rispondeva confusamente e faceva capire che all’epoca “lavoricchiava in nero” e perciò non percepiva alcuna indennità di malattia. La moglie ha voluto precisare che il marito NON lavorava né ha mai lavorato per la Disaster S.a.s. La domanda non era quella, ma la risposta è stata estremamente utile ai fini investigativi.

A quel punto ho approfondito le ricerche sui social e tra le fotografie sulla pagina della Disaster S.a.s., ho trovato delle immagini che ritraevano Pasquale intento a tagliare un grosso albero caduto su una strada provinciale e indossava gli indumenti con il logo della Disaster S.a.s..

A quel punto ho richiamato Pasquale, che nonostante le evidenze rappresentategli ha cercato in maniera confusa di giustificarsi dicendo che quel giorno si trovava sul posto in qualità di fotografo. Nelle immagini su Facebook teneva in mano una motosega e non una macchina fotografica. Nonostante le evidenze e le conseguenze alle quali sarebbe andato incontro ha deciso di non tradire la fiducia del suo datore di lavoro, nonché suo amico.

Il finale di questa vicenda non mi è dato conoscerlo ma so per certo che son stati rinviati a giudizio sia Pasquale che Giuseppe. Quel che è certo è che Pasquale è stato vittima due volte, in quanto oltre alle gravi lesioni subìte, si è ritrovato ad affrontare pure un processo penale.

4. Conclusioni

Tra tutti ho scelto questo episodio, non tanto per la linea investigativa seguita. Anzi, la buona riuscita dell’indagine non è dipesa né dal metodo, né dal fiuto investigativo di chi scrive. Posso dire di essere “inciampato” nelle circostanze che hanno portato Pasquale e Giuseppe a compromettersi con la giustizia penale. Qualunque investigatore esperto troverebbe da ridire circa lo sviluppo delle indagini che non ho raccontato per fini “didattici”, ma piuttosto per porre l’attenzione su una delle tante difficoltà che chi fa questo mestiere si trova fronteggiare ogni giorno, ovvero confrontarsi con i drammi del quotidiano. Quei drammi che molto spesso rendono le persone, schiave del bisogno e le portano a compiere azioni poco nobili.

Senza dubbio, gli enti preposti, ciascuno per le proprie competenze, ispettorato del lavoro, G.d.F., Procure e sindacati fanno un ottimo lavoro ogni giorno per contrastare la piaga del lavoro nero e non è certo intenzione di chi scrive suggerire strategie investigative, ma l’auspicio è che questo contributo possa essere uno spunto di riflessione per nuove sinergie tra gli enti sopra menzionati e le strutture antifrode e le agenzie investigative, ma soprattutto la società civile nella sua interezza.

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